Kevin Train, “Balliamo!”: un inno alla vita che resiste tra le macerie

Ci sono canzoni che ascolti e dimentichi, e poi ci sono canzoni che ti entrano dentro, scavano un solco nell’anima e ti costringono a fermarti a riflettere. “Balliamo!”, il nuovo singolo di Kevin Train, appartiene senza dubbio a questa seconda categoria. Un brano che, dietro un titolo apparentemente festoso e un ritornello irresistibile, nasconde una narrazione cruda, potente e, in definitiva, un inno straordinario alla resilienza umana.

Fin dalle prime note, l’atmosfera è tesa. Un pianoforte malinconico introduce la voce dell’artista, che ci catapulta in uno scenario post-apocalittico: “Ho chiuso gli occhi e ora non ricordo più niente / Mamma e papà se ne saranno andati”. Non è un semplice risveglio, è l’apertura degli occhi su un mondo distrutto. Kevin Train usa immagini cinematografiche e spietate – “luci spente”“edifici crollati”“pavimento rosso scarlatto” – per dipingere un quadro di devastazione totale. La prospettiva è quella di un sopravvissuto, forse un bambino, che cerca di dare un senso all’orrore incomprensibile che lo circonda.

È qui che il brano rivela il suo genio. Laddove ci si aspetterebbe un lamento disperato, emerge una reazione inaspettata. La base hip-hop, cupa e incalzante, fa da sfondo a un’epifania: “Nonostante ciò mi sento ancora vivo / Devo solamente ringraziare Dio”. Questa scintilla di gratitudine nel buio più totale è il cuore pulsante della canzone.

E poi arriva il ritornello, un’esplosione di contrasto che è la vera chiave di volta del pezzo:

“Ho visto un posto che assomiglia un po’ la morte / Chissà dove mi porterà la mia sorte / Ma non ho tempo per pensare a quei problemi, allora balliamo!”

“Ballare”, in questo contesto, non è un atto di festa spensierata. È un gesto di sfida. È la più potente forma di ribellione contro la disperazione. È la scelta consapevole di aggrapparsi alla vita, di muovere il proprio corpo quando tutto intorno è immobile e senza vita. Quando incontra altri sopravvissuti, segnati dalla stessa tragedia (“uno è sanguinante aveva perso l’avambraccio”), la promessa non è di vendetta, ma di vita: “ho giurato su me stesso che faremo festa”.

Musicalmente, Kevin Train costruisce questo dualismo alla perfezione. Le strofe sono un rap narrativo, quasi uno storytelling dal ritmo serrato e dalla dizione impeccabile, mentre il ritornello si apre a una melodia pop-oriented che ti si pianta in testa, costringendoti a cantare insieme ai protagonisti. È un meccanismo brillante: la musica stessa ti spinge a “ballare”, a muoverti, a superare l’orrore descritto nelle liriche.

In conclusione:

“Balliamo!” non è solo una bella canzone, è un’opera complessa e stratificata. È il racconto di come si possa trovare la forza di danzare sulle rovine, di scegliere la vita anche quando la morte sembra l’unica realtà tangibile. Kevin Train ci regala un brano che scuote e commuove, un pezzo necessario che ci ricorda che, anche nelle circostanze più buie, l’istinto più profondo dell’essere umano è quello di andare avanti.

Un brano da ascoltare non solo con le orecchie, ma con l’anima. Assolutamente consigliato.

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