Il nuovo singolo di Mattia Rame, “Mare mare”, ci immerge fin dai primi secondi in un’atmosfera sospesa, un viaggio sonoro che mescola synth avvolgenti e un beat costante, quasi ipnotico. Non è una semplice canzone estiva che evoca spiagge assolate, nonostante il titolo; è piuttosto un’immersione in un mare interiore, fatto di riflessioni acute e un desiderio palpabile di fuga.
Musicalmente, il brano si colloca in un’area interessante tra l’indie pop e l’elettronica dal sapore leggermente retrò. Le tastiere creano paesaggi sonori ampi, a tratti sognanti, mentre la sezione ritmica fornisce una spina dorsale solida, quasi una marcia costante che contrasta con la fluidità delle melodie superiori. La voce di Rame è misurata, a tratti quasi narrante più che puramente cantata, un approccio che sposta l’attenzione sull’importanza delle parole e conferisce al pezzo un’aria riflessiva e leggermente distaccata.
Ed è proprio nei testi che “Mare mare” rivela la sua complessità e originalità. Rame dipinge quadri spiazzanti, accostando Baudelaire ai “bigotti del Belgio” e questi ai “cristiani antropofagi dell’America del Sud”, creando cortocircuiti culturali che invitano a riflettere sulle ipocrisie e le somiglianze inaspettate nel comportamento umano. La critica alla superficialità moderna è tagliente, evidenziata dalla scena quasi surreale degli “uomini [che] prendono il virus al funerale di uno sciamano” per poi dedicarsi a “selfie e cellulari in mano”.
Il ritornello, “Mare mare mare / ma non voglio annegare / Portami lontano / da questo tempo / dalla sua scarsa dignità”, diventa il cuore pulsante del brano. È un grido sommesso, una richiesta di salvezza non tanto fisica, quanto esistenziale. Il mare non è solo luogo di fuga, ma anche potenziale abisso (“non voglio annegare”), metafora potente del desiderio di allontanarsi da una contemporaneità percepita come priva di spessore e dignità, senza però perdersi completamente.
Anche i riferimenti ai Fenici e ai marinai aggiungono strati di significato, parlando di comunicazione, di storia, e della ricerca di approdi sicuri (gli “scrigni” in cui affidare la vita) in un mondo navigato.